A ∴ G ∴ D ∴ G ∴ A ∴ D ∴ U ∴
“Sic Luceat Lucem”
MASSONERIA UNIVERSALE
LIBERTÀ – UGUAGLIANZA – FRATELLANZA
COMUNIONE ITALIANA
GRAN LOGGIA NAZIONALE DEI LIBERI MURATORI D’ITALIA
(DISCENDENZA 1805)
dato all’Oriente di Roma,
addì 2 Dicembre 2023 E ∴ V ∴
Ven.mo e Pot.mo Sovrano Gran Commendatore,
Ill.mi Fratelli Membri di Gran Loggia,
Risp.mi Maestri Venerabili,
Risp. Fratelli Maestri,
a voi tutti, a tutti i vostri cari, a tutti i nostri Fratelli,
Salute e Prosperità.
Una favola africana racconta di un grande incendio nella foresta. Scappando assieme a tutti gli altri animali, il leone vede il colibrì che vola invece verso le fiamme. “Dove vai?” gli chiede “C’è un incendio, dobbiamo fuggire!”. Il colibrì risponde: “Volo dal lago con acqua nel becco da buttare sull’incendio”. “Sei impazzito? Cosa credi di fare con quattro gocce?” Ed il colibrì: “Io faccio la mia parte”.
L’8 marzo 1989 anche Winfried Freudemberg volava, su di una mongolfiera che si era costruito da sé, al di sopra di un muro di appena 3 metri e 60 centimetri di altezza: dalla “parte di là” voleva arrivare dalla “parte di qua”. Riuscì, ma la mongolfiera all’ultimo precipitò, e Winfried, sfortunato emulo di Icaro, che a quelle latitudini di sole ce n’è poco, morì. Otto mesi dopo quel muro cadde. Era stato su neanche trent’anni, davvero poco, a ben pensarci, trent’anni di cemento armato e di soldati armati, e quando cadde in quel giorno di novembre i Berlinesi tornarono ad essere un solo popolo.
E sembrò che fosse compiuto, finalmente, il tempo dei muri.
E finalmente e d’incanto sembrò che il mondo fosse un po’ più unito.
Invece…
Invece quel giorno di novembre semplicemente si ruppe un equilibrio, di cortina di ferro e di fili spinati ma pur sempre equilibrio, e ancora oggi il mondo ne cerca un altro, ed oscilla e dondola come il funambolo, un po’ di qua ed un po’ di là, precario attorno a quell’unico assetto fra tutti che è bilanciato e stabile.
E noi lo osserviamo inquieti da quaggiù dove siamo per gravità e destino, e dove per scelta e fatalità stiamo dall’una o dall’altra parte del muro. Qualunque sia, comunque valga e significhi il di qua o il di là.
E vediamo piovere sangue e lacrime, dolore e collera e vendetta e ancora e ancora, ottusa rincorsa al niente. Ed emozioni, quante, e ciascuno reclama per la sua parte le buone ed attribuisce all’altra le cattive: la pioggia è però indifferente a dove cade, non sceglie, non le interessa, la pioggia bagna tutti, cieca e noncurante.
E chissà cosa potrebbe dirci da lassù il funambolo di noi, dell’umanità così poco umana che, senz’appello e senza misericordia, sembra che siamo: ci direbbe di aggressione, e di vittime innocenti; ci direbbe di rappresaglia, e di vittime innocenti; ci direbbe di schiere schierate di armati, braccia di tenaglia e perno l’odio; e di bambini, donne, uomini, anziani, innocenti tutti, inermi e spauriti nello spazio di mezzo che residua tra le linee affrontate.
Che davvero così sembra che vada la guerra guerreggiata nel presente.
E ci direbbe del resto e degli altri di noi, spettatori non paganti, estremi agli estremi, e dei verdetti immediati, pochi minuti e commenti, pochi minuti e smentite, nessun tempo di accertamento; ci direbbe di verità avvinghiate a questioni di principio, istantanee e già pronte all’uso, preconfezionate senza mediazione di riflessione, perentorie, tassative, definitive; e ci direbbe della soddisfazione rabbiosa delle schiere schierate, degli estremi agli estremi, e di nessuno più nel mezzo a cercare di tenere insieme le cose, a provare a tenere unita la vita, e la compassione e la pena per le vittime, bambini, donne, uomini, anziani, innocenti tutti…
D’altra parte ognuno la vede da sé la fretta indecente di posizionarci, di dare ascolto e voce ai preconcetti che ci ruggiscono nel petto, e la furia di essere da una parte, di qua o di là pur che sia, per non restare scompagnati e solitari nel mezzo; eppure dovremmo averlo imparato per esperienza che è la nostra esperienza, limitata e partigiana, che impacchetta e presenta come pensiero giudizi già formati che attendono dietro qualche sportello della nostra mente.
Che davvero sembra che così vada il presente.
E invece…
Invece c’è bisogno di tempo: per riflettere, per maturare un pensiero che non sia pregiudizio, una opinione che non sia sollecitata da turbolenze emotive.
E c’è bisogno di silenzio, del silenzio che semina: che si spenga il rumore delle nostre viscere, che tacciano le nostre voci interiori.
C’è bisogno di ascolto, profondo, vero, attento, partecipe, per dare silenzio e tempo alle parole, le nostre e quelle dell’altro, comprenderle o, anche, ammettere la possibilità di non riuscire a farlo; l’ascolto che meritano coloro a cui teniamo, e per ciò solo è giusto che sia; l’ascolto per tutti gli altri, che potrebbero non ricambiare mai ed il nostro sarebbe allora solo un atto di generosità irrazionale, ma va bene così.
E c’è bisogno di misura, che misurare serve a capire le cose e gli altri, e noi rispetto a questi ed a quelle, che è sempre rispetto a qualcosa o a qualcuno che si misura; c’è bisogno di misura che “L’uomo deve apprendere l’uso della livella, della squadra e del compasso e farne norma di vita se vuole percorrere le vie della saggezza, dell’onore e della virtù” (Mencio, IV a.C.).
C’è bisogno di equilibrio, ce n’è bisogno soprattutto quando la piana e rassicurante superficie dell’acqua si rompe in creste spumose e ventri profondi, che stia eretta la schiena ed alto il capo ed ampio il respiro, che resti diritto l’asse della Vita tra piedi e testa, tra mente e cuore, tra Terra e Cielo.
C’è bisogno di tutto questo, ce n’è bisogno innanzi agli innocenti aggrediti che non trovano via di fare salvi gli innocenti, ce n’è bisogno di fronte alle schiere schierate ed agli estremi agli estremi. Ce n’è bisogno perché non c’è più nessuno nel mezzo a cercare di tenere insieme le cose, a provare a tenere insieme la vita, e la compassione e la pena per le vittime, bambini, donne, uomini, anziani, innocenti tutti…
Ce n’è bisogno per mostrare che non è così che necessariamente deve andare il presente, e che è possibile un altro possibile. Ce n’è bisogno perché possiamo scegliere il futuro, ma non possiamo scegliere il passato; perché dal passato possiamo scioglierci, e dal vano rosario a ritroso delle cause e degli effetti, e perché un altro futuro è davvero possibile. E dipende da noi, da tutti noi…
E a noi, Fratelli Muratori, queste parole non dicono nulla? Non ci dicono cosa possiamo? Non ci intimano cosa dobbiamo?
Fratelli miei, siamo Massoni Scozzesi, che lungo i Gradi dell’unica ed indivisa Piramide Rituale hanno scelto di dispiegare il lavoro di perfezionamento individuale e, nelle Logge Simboliche e nelle Camere Rituali, quello di raffinamento collettivo.
Siamo Massoni Scozzesi, ed è appello che rivolgo all’onore di ciascuno di noi: attendati nell’Accampamento di Libertà ed Uguaglianza e Fratellanza, lavoriamo per diventare parte della parte migliore di umanità, suo stimolo, suo animatore. Nell’Accampamento di Tolleranza ed Unione e Prosperità che è nostra identità, operiamo per restituire umanità all’Umanità, per fare migliore l’Umanità: non terra di guerra, ostinata e dura delimitata da mura alte ed invalicabili, ma Accampamento di Pace, acqua che galleggia sull’acqua, ambito di condivisione di regole e valori, patrimonio comune di idealità e sogno, Comunità.
È questa la nostra parte, la parte dove stiamo, la parte che possiamo fare: ne abbiamo il privilegio; ne abbiamo la responsabilità.
La nostra forza è poca cosa: inadeguati agli occhi dei più e velleitari per tanti, sospetti per alcuni e piccoli per tutti, siamo come il colibrì; e, piccoli e veloci, come il colibrì possiamo fare la nostra parte, e volare rapidi verso la parte nel mezzo, a cercare di tenere insieme la vita, e la compassione e la pena per le vittime, bambini, donne, uomini, anziani, innocenti tutti…
Forti dei nostri sogni e dei nostri ideali, possiamo davvero influenzare il mondo, ed incidere sulla immaginazione, sulle utopie e sulle speranze degli uomini: possiamo mostrare e dimostrare che si può ancora e di nuovo cercare di tenere tutto insieme, la vita, e la compassione e la pena, ed è uno sforzo possibile, ed è possibile il successo.
Questa è oggi la nostra missione, Fratelli Muratori, uscire dalle schiere schierate, e riguadagnare quello spazio di mezzo dove sono il tempo e il silenzio e l’ascolto e la misura e l’equilibrio, nostri usuali e cari strumenti di Lavoro, per mostrare che si può pensare con l’altro e non sull’altro o al suo posto; per dimostrare che si può maturare un pensiero che non sia pregiudizio, e con esso tracciare percorsi di vicinanza; che è possibile essere parte senza prendere parte; che è possibile arrabbiarsi, anche, ma senza diventare rabbia, senza però essere la rabbia…
Questa è la missione che abbiamo oggi, Fratelli Muratori: mettiamoci in gioco, usciamo in controcanto e torniamo nel mezzo; conosciamo il mestiere e nessuno può fiaccare la nostra determinazione o spegnere il nostro entusiasmo dicendo “è impossibile”.
Che nulla è impossibile per i sognatori, nulla è precluso agli Uomini dell’Arte, e tutto possono gli Uomini dell’Arte: poniamo allora fine a questo silenzio ed a questa solitudine, è tempo di dilatare il petto e tornare a respirare.
Usciamo dalle schiere schierate e torniamo nel mezzo, a viaggiare tra Terra e Cielo, tra idea e realtà senza fermarci in uno o nell’altro estremo, senza che l’altro o l’uno estremo possano avvinghiarci nella trappola del pregiudizio.
Liberi Muratori e, ancora meglio e di più, Muratori di Libertà, è luminosamente evidente e chiaro chi siamo: siamo coloro che attraversano, che passano sempre da una riva all’altra, che costruiscono i ponti. Siamo quelli che stanno nel mezzo, a mostrare che le cose si possono tenere ancora insieme, a tenere insieme la vita, e la compassione e la pena per le vittime, bambini, donne, uomini, anziani, innocenti tutti.
È possibile. È ancora possibile. Nonostante tutto, nonostante tutti.
Dipende da noi. Da tutti noi.
Abbiamo allora cura.
Abbiamo cura dei Fratelli più giovani.
Abbiamo cura di chi ci sta accanto.
Abbiamo cura di tutti. Abbiamo cura di tutto.
Ci siamo capiti, Fratelli Muratori?
Ad Orientem Romae in Valle Tiberina, sub caelo inclinationi 41° 87’ 85” septentrionalis et
longitudini 16° 16’ 85” orientis, in die II mensis X in anno (VI)XXIII Verae Lucis